Storie afghane e piemontesi

 Storie afghane e piemontesi

Dopo l’avvento dei talebani a Kabul, un ponte aereo ha unito l’Afghanistan e il Piemonte. Sono due le storie che hanno permesso a decine di donne afghane di raggiungere l’Italia dopo che il loro paese è diventato un posto non più sicuro per loro.

La prima coinvolge delle dottoresse che lavoravano per la onlus torinese International Help, fondata a Torino nel 1995, e che agisce con interventi umanitari a favore di popolazioni a rischio. A Kabul la onlus opera con la Clinica dell’Amicizia dal 2008, mantenendo i due medici afghani (chirurgo e ginecologo) operanti nella struttura e finanziando opere di manutenzione e ammodernamento della struttura ospedaliera.

Negli anni, il progetto ha assicurato tra gli altri interventi, assistenza sul versante dell’educazione sessuale, della contraccezione e della maternità consapevole. Temi delicati da trattare in un contesto di privazione dei diritti della donna. Per questo diverse realtà piemontesi, su iniziativa del Coordinamento interconfessionale del Consiglio Regionale del Piemonte, sono riuscite a organizzare un volo umanitario per trarle in salvo.

Dopo questa dolorosa esperienza l’impegno non è terminato, ed è nata l’idea di un Osservatorio di monitoraggio sui diritti umani con delega alla presidenza della Regione Piemonte. Un organo con personale e una dotazione finanziaria propria, un’iniziativa che non ha precedenti a livello nazionale: il via ufficiale è previsto per l’inizio del 2022 quando i primi fondi saranno già a bilancio.

L’Osservatorio si occuperà della raccolta di informazioni per il monitoraggio, ma anche di attività operative, come campagne di sensibilizzazione e collaborazioni con diverse realtà del territorio. Sarà composto da 20 esperti in materia di diritti umani e sette politici in via di elezione.

La seconda storia che vogliamo raccontare, arriva da Mauro Berruto (che avevamo già intervistato per TOradio su altri temi), ex ct della nazionale italiana di pallavolo.

Il suo numero di cellulare arriva nelle mani di Safiya, pallavolista afghana ‘colpevole’ di aver giocato senza indossare lo hijab. Per questo una sua compagna di squadra era già stata massacrata, e la foto del suo cadavere girava sui social come monito alle altre ragazze. Safiya è terrorizzata, senza documenti e nascosta a Kabul. Il suo contatto con l’esterno è proprio Mauro Berruto, a cui manda brevi messaggi e video degli spari e dei rastrellamenti dei talebani casa per casa.

Un primo tentativo di salire su un volo fallisce: “Ho perso il volo, sono disperata. Fai qualcosa ti prego”. I diplomatici italiani si mobilitano, Berruto la rassicura e motiva a tentare di nuovo: “Siamo al tie-break, non ci fermiamo di sicuro adesso”.

Il secondo tentativo fortunatamente va a buon fine e Safiya riesce a espatriare: “Sono sull’aereo, sto nascendo una seconda volta”, così commenta la sua partenza.

Ora Safiya è salva in Italia e potrà continuare la sua vita.

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Sara Levrini