Una storia per il 25 novembre

 Una storia per il 25 novembre

Il 2022 vede un aumento dell’8% riguardo le denunce per maltrattamenti in famiglia e le violenze sulle donne. Più di 90 donne sono morte in Italia, il fenomeno del femminicidio, una parola da brivido che ormai risuona sempre più famigliare a causa di media, giornali e televisioni, racconta un drammatico scenario.
Partire dai numeri per illustrare una situazione delicata può sembrare inopportuno: nei primi dieci mesi di quest’anno sono stati arrestati 157 uomini per maltrattamenti ed abusi alle loro mogli, compagne, fidanzate, amanti. Perché nella stragrande maggioranza dei casi, i carnefici di queste vittime sono persone con cui esse avevano una relazione.
Senza la relazione, d’altronde, non c’è abuso.
La Polizia di Stato rinnova la campagna nazionale dal titolo “Questo non è Amore”, lanciata dal 2017.
“Difendiamo le donne occupandoci degli uomini prima che sia troppo tardi. La sfida contro il femminicidio si gioca esclusivamente nel campo della prevenzione” queste le parole di Francesco Messina, direttore centrale anticrimine.
Fa molto discutere il famoso protocollo Zeus, che vede una sorta di ammonimento da parte del questore, verso gli artefici della violenza. Messina però parla di un basso tasso di recidiva, sottolineando che non si tratta di una “sgridata” semplice, ma di prendere in carico il soggetto ammonito, senza banalizzare gli avvenimenti, offrendo un percorso di recupero da seguire per interrompere il ciclo della violenza.
Nel frattempo, sempre i dati della Polizia di Stato, mostrano che ogni giorno in Italia vi sono 86 donne vittime di violenza domestica ed abusi: nel 35% dei casi, le violenze sono atte da persone conviventi.
Abbiamo raccolto delle storie, Donne che vivono nella nostra città, vittime di queste violenze.
Ne abbiamo redatto le testimonianze, difficili, reali: Donne che lavorano, che fanno la spesa, le stesse che potreste incontrare alle casse del supermercato.
Donne comuni, con in comune lo stesso denominatore: un uomo violento.

Oggi ve ne raccontiamo una.
I nomi sono di fantasia, il narrato, purtroppo, è reale.

Francesca racconta una storia drammatica, riguardo il suo ex compagno Massimo, nonché padre dei suoi quattro figli.
La loro storia è durata ben 24 anni: anni di sevizie, violenze, percosse a lei e ai suoi figli maschi, frammenti di violenza psicologica e fisica anche nei suoi riguardi.
Francesca ricorda con dolore diversi episodi: come quando Massimo colpisce al naso uno dei loro figli fratturandogli il naso, ed impendendo loro di andare in ospedale.
Per anni la donna viene minacciata di morte e di suicidio da parte di Massimo: prova a denunciarlo una volta, ma negli uffici di Polizia le viene detto che bisogna cogliere l’uomo in flagranza di reato per poterlo fermare.
In un’altra circostanza, Massimo butta fuori di casa Francesca e Maddalena, la figlia, alle due di notte.
Francesca ricorda la lunga storia con Massimo come piena di liti, ritorni, scuse e perdoni. Rimane al fianco di quell’uomo, nonostante tutto, come tutte le donne vittime e codipendenti dei loro carnefici. Le rare volte in cui Francesca chiede aiuto alle autorità competenti, le viene consigliato di “tornare a casa e fare la pace”.
C’è sempre la paura di non farcela da sola, di non poter provvedere alla sua famiglia, di non essere in grado di andare avanti. Ed inoltre, la casa dove vivono è di Massimo.
A 14 anni Maddalena trascrive un tema scolastico riguardo la vita famigliare, ed in quelle righe la giovane ragazza parla di abusi e violenze. Il tema non è esplicito, viene sottovalutato, nessuno chiede spiegazioni a Maddalena, nessun docente segnala ai servizi sociali.
La flebile richiesta di aiuto di Maddalena è ignorata ed un’ennesima occasione di far luce su quello che è diventato un incubo, scivola via.
Nel novembre del 2019 la donna trova casualmente sul computer del suo compagno dei video: sono raffigurate le parti intime di Maddalena mentre lei dorme. In seguito Massimo, davanti ad un giudice, dichiarerà che questi video li ha girati “perché si sentiva escluso dal nucleo famigliare” ed erano per lui un modo per provare “di potersi avvicinare quanto volesse” alla figlia.
Una volta denunciato, sui dispositivi personali di Massimo vengono rintracciati altri video e numerose fotografie di Maddalena nuda in doccia, ignara di esser ripresa. I più datati risalgono ad almeno due anni prima, epoca in cui Maddalena aveva appena 12 anni.
Addirittura Massimo aveva installato un’app sul suo smartphone: questa gli permetteva di poter riprendere con la camera del cellulare anche a telefono spento. Non solo. Aveva avuto cura anche di sistemare una mini videocamera, della dimensione di un bottone, in un vano della doccia.
Maddalena ricorda gli anni difficili col padre. Si sentiva a disagio quando lui le faceva una carezza, lei lo respingeva e cosi lui assumeva atteggiamenti di offesa. Maddalena era solo una bambina, quell’uomo avrebbe dovuto proteggerla e farla sentire al sicuro tra le mura domestiche.
Dei suoi abusi, sino al giorno della denuncia verso il padre, ricordava poco: i caratteristici meccanismi di rimozione, che tutti alimentiamo per la nostra autodifesa ed il nostro benessere psicologico, hanno fatto il loro dovere.
D’altronde, una bambina vive tutto come “normale”. E qui possiamo citare il famoso slogan: “Non è normale che sia normale.”
La sua percezione viene alterata nel momento in cui comincia un percorso di terapia.
Piano piano i ricordi riaffiorano, i dettagli tornano nitidi. Maddalena ricorda quando il padre la vestiva da bambina, o quando le chiedeva di baciarla sulle labbra. Lei ricorda un senso di disgusto, un disagio.
Alla domanda “ti senti guarita?” la risposta è negativa.
Non bastano otto sedute da un terapeuta per guarire, né per smettere di ignorare cosa sia successo.
Ma lo psicologo costa, e lei oggi a 19 anni non ha modo di pagare una psicoterapia.
Maddalena e Francesca infatti hanno dovuto lasciare casa loro, ricominciare da capo.
Sono dovute andare a casa, come due ladre, di corsa, per portare via le loro cose da quel teatro degli orrori; non hanno affrontato Massimo apertamente.
La ragazza oggi sostiene che non sarebbe ancora in grado di affrontarlo.
Spesso la notte lo sogna: suo padre che la picchia e urla perché lei lo ha denunciato.
E questo è vero: Francesca e Maddalena hanno denunciato Massimo, alla fine.
L’uomo è stato condannato in primo grado a otto anni e dieci mesi per i reati di maltrattamento in famiglia, violazione della privacy, produzione e detenzione di materiale pedopornografico ai danni della figlia minorenne, con aggravante di coabitazione.
Ma ciò nonostante, è a piede libero.
Il giorno stesso della sentenza, alla fine del rito, si è seduto allo stesso tavolo dove Francesca era seduta a prendere un caffè. Nonostante l’ovvia diffida appena pronunciata, lui non si è fatto molti problemi.
Nel frattempo Massimo continua a condurre la sua vita; lavora, viaggia e posta sui suoi profili social video e foto che lo vedono sorridente e felice. Maddalena ha il terrore di incontrare per caso suo padre per strada. I suoi fratelli anche.
Continua, tutto il nucleo, a provare un forte senso di angoscia. E di colpa.
Francesca per non aver protetto sua figlia, Maddalena per essere stata “la cocca” del padre in età prepuberale e successivamente, la sua oggettiva ossessione.

Ed è qui che ci soffermiamo: sul senso di colpa della vittima.
Perché ancora troppo spesso per abusi e violenze funziona cosi, sono le vittime a sentirsi in colpa: ancora oggi, per uno stupro ai danni di una donna, la domanda che molti pongono riguarda il suo abbigliamento. O se avesse bevuto, magari, un bicchiere di troppo. Che possa insomma avergliela data a credere.
Diverso è per le violenze che si consumano all’interno delle mura domestiche.
In tanti non riescono a spiegarsi come sia possibile restare, non abbandonare il luogo, non scappare.
In pochi si sforzano di concepire un ragionamento che è ben distante dalla logica.
La stessa logica per cui una donna non dovrebbe accettare mai di trovarsi delle mani addosso.
Il denominatore comune di quasi tutti i casi, compreso quello di Francesca e Maddalena, vede ignorare alcuni segnali importanti: campanelli di allarme, che si trascurano agli albori delle relazioni, convinte si tratti di insicurezza e/o gelosia: addirittura, alcuni fanno pensare a un senso di protezione.
Sfocia in violenza gradualmente, come una pianta malata che ogni giorno viene annaffiata con amore. Un ossimoro incomprensibile, malato, che nei peggiori casi porta anche alla morte della vittima.

In occasione del 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, diverse scuole hanno organizzato spettacoli e performance.
Ad esempio, il liceo scientifico Volta, terrà per il secondo anno una silenziosa performance in piazza Arbarello alle 13: vedrà 80 persone, tra corpo insegnante e allievi, vestiti di rosso
che formeranno la scritta “NO”, una laconica rappresentazione del rifiuto di qualsiasi forma di violenza.
L’idea nasce da due brillanti insegnanti, Marika Bonomi e Stefania Suma, rispettivamente docenti di religione e storia dell’arte: ma come ci tiene a sottolineare Marika, tutto è stato possibile grazie alla preziosa partecipazione di tutti e della preside dell’istituto, Maurizia Basili.

Un’altra preside è molto attenta al tema ed alla sensibilizzazione dei suoi studenti: Alessandra Atanasio, dirigente della scuola media Levi a Rivoli, nel 2022 ha coinvolto docenti e ragazzi nel progetto “FilosofiAmo”: il progetto parte dalle classi della scuola dell’infanzia, prosegue con la primaria e si conclude alla scuola secondaria di primo grado. Un ritorno al pensiero critico, al riconoscimento e alla gestione delle emozioni: la lotta al bullismo e alla discriminazione in ogni suo aspetto.

Impossibile non citare un’altra iniziativa degna di un dieci e lode: “Inneschi – azioni a catena contro la violenza di genere” a Parco Dora: all’interno del centro commerciale durante tutta la giornata saranno presenti stand per la presentazione al pubblico delle attività dedicate al contrasto alla violenza messe in campo da CARABINIERI – NOVA COOP – EMMA ONLUS –  ARTEMIXIA + gruppo formazione CCVD aderenti al progetto INNESCHI.
Interventi a partire dalle ore 16.30 a cura di Jacopo Rosatelli, Assessore Pari Opportunità Città di Torino e Presidente CCVD, Alberto Re Presidente Circoscrizione 4, Carla Bezzegato,
Responsabile di Zona Politiche Sociali Nova Coop, Emanuele Manca, Direttore Parco Commerciale Dora, Gloria Pecoraro CGIL Torino, Rosalba Castelli Vicepresidente Artemixia (di cui potete ascoltare la nostra intervista in calce all’articolo), Silvia Sinopoli Vicepresidente E.M.M.A. Onlus.
Aperto e dedicato a tutti, l’evento ha luogo in via Livorno 51 all’interno del Parco Commerciale Dora.

SE SEI VITTIMA DI VIOLENZA:
il 1522:
Il 1522 – numero di pubblica utilità attivato, dal 2006, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per le Pari Opportunità e gestito dal 1° luglio 2020 dall’Associazione Differenza Donna – per molte persone rappresenta un primo passo importante per uscire, o tentare di uscire, dall’isolamento e dalle difficoltà di una situazione di violenza.
È gratuito, attivo tutti i giorni 24 ore su 24, accessibile sia da rete fissa che da cellulare dall’intero territorio nazionale, tramite contatto telefonico o via chat, raggiungibile, quest’ultima, scaricando la “app 1522” o andando sul sito www.1522.eu.

Infine, ci teniamo a citare Pangea: una Onlus nata dalle donne per le donne con focus sui territori di India, Afganistan ed Italia.
Pangea ha attivato due canali di segnalazioni dedicati alle vittime di violenza domestica: un indirizzo mail ed un numero di telefono, validi anche per segnalazioni da parte di testimoni.
[email protected] e 3493442257.

Con il profondo desiderio di scrivere un prossimo articolo con un finale felice per Francesca e Maddalena, ed un augurio di riportare numeri nettamente inferiori il prossimo 25 novembre 2023, ringrazio TOradio per lo spazio concesso e la sensibilità dimostrata, come sempre presenti sul territorio e dediti alle loro necessità.

A Silvana, Giusy, Guglielmina, Vera ed a tutte le vittime di femminicidio.

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Sara Sonnessa