Sale prova e camerette: com’è cambiato il “fare musica insieme”?
“Everybody has to start somewhere. You have your whole future ahead of you. Perfection doesn’t happen right away” (Blind Willow, Sleeping Woman, di Haruki Murakami). Dobbiamo tutti iniziare da qualche parte, ognuno di noi è stato (oppure è) un principiante in ciò che fa, negli hobby come nel lavoro.
Parlando di musica, è sicuramente suggestivo vedere come molti dei “giganti” siano partiti da condizioni di absolute beginners. Kurt Cobain e Dale Crover, ad esempio, ancor prima della formazione dei Nirvana, registrarono le loro prime demo a casa della zia di Kurt. Rimanendo invece nel Bel Paese, in Via Dei Bardi a Firenze si trova una cantina particolare: la storica sala prove dei Litfiba, dove sono stati concepiti molti degli album della band toscana. Esperienze diverse, ma che hanno in comune una dimensione profondamente sociale: una necessità di comunicare, instaurando un dialogo non verbale attraverso la lingua più internazionale di tutte, la musica.
Chiacchierando in redazione è sorto un dibattito su come, qualche anno fa, trovarsi in sala prove e suonare assieme fosse un passatempo frequente tra i giovani. Non era la prima volta che sentivo persone più grandi di me intavolare questo discorso. Mio padre racconta spesso di come, soprattutto d’estate, fosse uso comune trovarsi in piazza e passare la serata a suonare. Ma c’è davvero ragione di essere nostalgici?
Da un punto di vista meramente pratico, fare musica è diventato decisamente più comodo ed economico. Si pensi alle enormi potenzialità delle cosiddette DAW (digital audio workstation, software usati per creare, registrare ed editare audio) e dei computer su cui queste piattaforme vengono installate (oggi disponibili ad una frazione del prezzo che avevano solo qualche anno fa). Logica conseguenza di tutto ciò è la proliferazione di one man band. Questi, da soli (o in gruppi molto ristretti), producono la loro musica “in cameretta”, nei cosiddetti home studio. Tuttavia, ridurre così drasticamente la questione è quanto meno semplicistico. Quel complesso rito creativo che è la musica può assumere diverse forme: la nostra stessa città può dimostrarcelo.
Umberto, giovane musicista e mio amico, ha dato la sua visione sul tema: secondo Umberto, ad oggi la voglia di fare musica insieme è tanta. “Il periodo di ripresa post-covid, con la riapertura di locali e sale prova, ha spinto molti ad avvicinarsi a un hobby o ad ambienti che magari prima neanche frequentava”. Comala è uno di questi: Umberto infatti, ogni tanto, si trova qui con altre due ragazze per delle jam session, delle “prove aperte”. Lui suona la chitarra, loro cantano e Comala fornisce l’attrezzatura necessaria (microfoni, mixer, etc…); chiunque può unirsi in totale serenità, per il puro piacere di fare musica insieme.
Sempre presso il centro culturale di corso Ferrucci è possibile assistere a Forms From Jazz: un appuntamento settimanale, “una raccolta di ritagli dalla scena jazz torinese, che mette insieme presentazioni di dischi, formazioni sperimentali ed eventi estemporanei, mantenendo come filo conduttore il continuo e sempre rinnovato gioco tra le infinite forme del jazz” (dalla pagina Facebook di Comala, ndr). Altro esempio è l’Imbarchino del Valentino, dove si tiene FLUSSO LIBERO Open Jam, “la jam session dell’Imbarchino, aperta a tutti i musicisti e a tutti gli strumenti, per incontrarsi e sperimentare l’intreccio di generi e sensazioni musicali”, citando la pagina Facebook del locale. Queste sono solo alcune delle occasioni disponibili per musicisti ed appassionati torinesi: la città offre infatti un panorama ed un parco eventi decisamente variegati.
Eventuali giudizi di valore lasciano dunque il tempo che trovano: come tutto, anche la musica è suscettibile di cambiamenti. Poi, se vogliamo vedere “il bicchiere mezzo pieno”, i nuovi mezzi di comunicazione possono fungere da collante e luogo di aggregazione virtuale per i musicisti. Questo può favorire scambi, collaborazioni ed organizzazione di eventi.
La musica, per sua natura, è profondamente mutevole, sotto tutti i punti di vista. Dubito che smetterà mai di stupirci, quindi non mi preoccuperei troppo della questione. Dopotutto lo diceva anche Battisti: “chissà che sarà di noi, lo scopriremo solo vivendo“. Io gli darei ragione.