Golden Hour – MARZO 2023, prima parte
Editoriale
Scrivere la seconda sezione di questo numero (spoiler!) mi ha dato qualche spunto di riflessione in merito ad una tematica che ho sempre trovato particolarmente interessante: quanto sono “musicali” le nostre città? Ce ne sono alcune più stimolanti di altre? Meglio una metropoli o un piccolo centro? O ancora: quanto di quel luogo in particolare viene riportato nelle canzoni e negli album?
Da New York, New York di Frank Sinatra, fino alla (Straight Outta) Compton degli N.W.A. (“passando per” Roma – Bangkok di Baby K), risulta evidente come fare riferimento alle città nei pezzi – che si tratti di vere e proprie dediche o di semplici menzioni – sia, da sempre, una strategia vincente, nonché un topos ed una feconda fonte di ispirazione per molti artisti.
Ci sono, poi, alcune città in particolare che si sono contraddistinte per l’importanza che hanno ricoperto nel corso della storia della musica: si pensi, per esempio, a Vienna, dove Mozart mosse importanti passi della sua carriera da musicista “libero professionista” ante litteram, o a Bayreuth, città del nord della Baviera e sede del Festspielhaus, “tempio” dell’opera e storica, celeberrima sede delle cosiddette opere d’arte totali (Gesamtkunstwerk) di Wagner. Rimanendo in Germania, va sicuramente menzionata Darmstadt con il suo Musikinstitut, che ospitò (ed ospita ancora oggi) i cosiddetti Ferienkurse für Neue Musik, corsi di musica contemporanea attorno ai quali gravitarono – in qualità di studenti e/o docenti – diverse menti geniali, tra cui quelle di Pierre Boulez e Karlheinz Stockhausen. Cambiando decisamente genere – nonché continente, peraltro – è d’obbligo fare un salto negli USA, in particolare a Memphis (culla del blues, del gospel e del rhythm’n’blues) ed a Nashville (non a caso soprannominata Music City e vera “fonte sorgiva” della country music). Altro genere fortemente collegato alle sue origini geografiche (UK) è sicuramente il Britpop, a sua volta correlato al Madchester, genere evidentemente identitario – già a partire dal nome.
Per una “prospettiva italiana” sulla questione è necessario fare un passo indietro (cronologicamente parlando): tra XIX e XX secolo, infatti, a Napoli fiorirono capolavori quali Funiculì funiculà, Era de maggio e Te voglio bene assaje, ad oggi ascritti nel canone della “canzone tradizionale napoletana”; i suddetti brani (in mezzo a tanti altri) scrissero molte di quelle che poi, negli anni successivi, sarebbero diventate regole e procedure standard della canzone italiana: Franco Fabbri, riferendosi a Te voglio bene assaje, gli riconosce difatti un “ruolo anticipatore”, soprattutto per via della sua “concisione”, per “l’efficacia” ed “il ritornello breve, curvilineo, memorabile”. Non vanno comunque dimenticati gli altri centri della musica italiana, tra i quali la nostra città sicuramente non sfigura: volendo riportare (in termini molto generali) uno tra i passaggi rilevanti della musica torinese, non potremmo non citare il Cantacronache, gruppo culturale nato a Torino nel ’57 e formato da Sergio Liberovici e Margherita Galante Garrone (anche nota come Margot) – marito e moglie – Michele Straniero e Fausto Amodei; si trattò di un’esperienza breve ma significativa, nonché multiculturale e sfaccettata: il Cantacronache coinvolse, infatti, diversi ambiti della cultura italiana (tra i collaboratori ci fu Italo Calvino). L’obiettivo del Cantacronache era la creazione di una canzone “impegnata”, con l’obiettivo programmatico di “evadere dall’evasione”, ritenuto il difetto principale delle superficiali “canzonette”; tra gli esiti più celebri figurano Il ratto della chitarra e Per i morti di Reggio Emilia (oggi una costante di molte manifestazioni di piazza), brani con un’estetica – ma soprattutto un’ideologia – ben riconoscibile.
Il capoluogo piemontese, poi, ha dato i natali a molte figure e complessi di spicco della musica italiana: da Fred Buscaglione ad Ezio Bosso, passando per i Subsonica, gli Statuto e Willie Peyote, fino ad arrivare a Umberto Tozzi ed ai OneMic (che hanno contribuito parecchio alla rilevanza di cui la nostra Grey City ad oggi gode nell’universo rap/hip hop: basti pensare, ad esempio, a Tecniche Perfette, evento chiave nel mondo delle gare di freestyle, strettamente legato alla città e tenutosi spesso a Torino e/o cintura). Insomma, la città italiana dell’occultismo ha sempre avuto molto da esprimere “sul pentagramma”: sono poi spia della sua rilevanza musicale anche le numerose rassegne di musica sinfonica e lirica proposte dai diversi centri del torinese (tra i più importanti d’Italia, si pensi all’Orchestra Rai o al Teatro Regio), così come i festival, che, spaziando tra i più svariati generi, accompagnano i piemontesi ormai da anni. Insomma, una città vivace e fonte di ispirazione, tanto per artisti lontani da bicerin e bagna càuda come gli Zen Circus (toscani e autori di un pezzo intitolato San Salvario), quanto per i “nostrani”: a tal proposito, mi piace ricordare gli Eugenio in Via di Gioia, autori di hit come Altrove e Non vedo l’ora di abbracciarti e divenuti virali con la loro EUROVISION IN TURIN che, a forza di “Please Ferragni come to visit Musei Egizi” ha convinto la famosa influencer ad andarci (o meglio, tornarci) per davvero.
Pur essendo di origine sarde, non riesco ad esimermi da un certo “patriottismo” accompagnato da un briciolo di fierezza quando sento nominare la mia città nelle canzoni; conosco una persona molto simile a me sotto questo punto di vista, ragion per cui ho pensato di fargli un paio di domande: Francesco D’Urso è un musicista (oltre che un mio caro amico) con il quale mi sono trovato più volte a condividere questo viscerale amore per Torino – vi basti sapere che suona e canta in una band chiamata Gruppo Trambusti Torinesi, un nome che è già tutto un programma.
Raccontaci qualcosa della genesi del Gruppo Trambusti Torinesi.
È iniziato tutto dalla passione e dalla noia di me e Gabriele Volpe (il batterista): avevamo 13/14 anni, suonavamo entrambi e ascoltavamo più o meno la stessa musica; nel momento in cui l’abbiamo scoperto, abbiamo pensato di trovarci per suonare insieme, quasi per scherzo. A quello che era poco più di un passatempo, un anno dopo si è unito Paolo Caforio (il bassista del gruppo) e, dopo aver iniziato come tutti in sala prove con cover di gruppi che ci piacevano (Nirvana, soprattutto), un bel giorno ci è stato proposto da un nostro conoscente di suonare dal vivo per la prima volta: ci siamo detti “perché no?”.
Di chi è stata l’idea del nome? Com’è nato e qual è stata la reazione a caldo degli altri membri?
Al momento del nostro primo live, abbiamo avuto l’esigenza di trovarci un nome: per noi era importante includere nel nome la nostra città, all’interno della quale ci identifichiamo molto. Inizialmente, per scherzo e come specchio della nostra bassa autostima, era stato proposto “AMIAT”: poi, un giorno, mentre Gabriele era alla fermata dell’autobus, gli venne in mente di sostituire – nella famosa sigla – la parola “trambusti” a “trasporti”. Fummo subito d’accordo in merito all’efficacia dell’acronimo e sulle parecchie battute spiritose che avrebbe potuto generare: anche se ci avessero fischiato sul palco, poi, avremmo potuto consolarci pensando che quegli insulti fossero diretti all’azienda di trasporti pubblici e non a noi. Insomma, è piaciuto subito a tutti, tanto che – nonostante la nostra attuale inattività – G.T.T. è ancora oggi il nostro nome, il nostro marchio di fabbrica.
Quanta Torino c’è nei vostri pezzi?
Nei nostri pezzi una parte di Torino c’è, magari non particolarmente esposta: Faresti Meglio (contenuta nel nostro EP – Turbe Metropolitane, ndr) è un ottimo esempio di quanto di quella che, a ben vedere, è una metropoli, sia presente nei nostri brani: quel brano, infatti, non parla solo delle eccessive pressioni esercitate dalle persone nei confronti dei giovani, ma anche di quelle che possono nascere all’interno e per via di una città come Torino, in qualità di città del Nord, di forti lavoratori ed operai (storicamente parlando). Trovo che in Faresti Meglio si percepisca chiaramente il fatto che apparteniamo ad una città e non ad una provincia, con tutti i meccanismi di pressione e condizionamento sociale che la cosa comporta, tra laurea, studio, farsi una famiglia e, insomma, i soliti cliché di chi vuole insegnarti come vivere la vita; intendiamoci, non credo che i ragazzi di provincia accusino meno il colpo, ma semplicemente penso che si tratti di contesti e situazioni diverse.
Come giudicheresti Torino “musicalmente parlando”? Quanto ha da offrire (tra opportunità e/o fonti di ispirazione) il capoluogo piemontese a band e musicisti?
Apprezzo molto – e l’ho sempre apprezzato – il panorama musicale a Torino, che – secondo me – ha sempre avuto molto da dire: basti pensare, per fare “due nomi”, ai Subsonica, a Willie Peyote o agli Eugenio in Via di Gioia; insomma, me ne vengono parecchi in mente. Trovo che tutti questi artisti abbiano sempre inserito all’interno dei loro brani il concetto di “essere sabaudi” – certe volte andandone fieri, delle altre un po’ meno. In merito all’offerta per un giovane musicista, dal Covid in poi la cosa è diventata un po’ più complessa: vedo comunque diverse realtà che stanno nascendo all’interno della nostra città, e non posso che esserne felice. Ad esempio, so di band che ho visto nascere e crescere da quando erano ragazzini ancora più piccoli di me, e che oggi stanno proponendo progetti molto validi.
Per quanto riguarda poi le fonti di ispirazione, trovo che Torino ne offra molte: alle volte, però, preferisco distaccarmi dalla mia città; non perché non mi piaccia, ma per il semplice fatto che, alla lunga, penso che possa verificarsi una saturazione delle idee, dovuta all’uso ricorrente degli stessi luoghi e delle stesse tematiche in qualità di fonte d’ispirazione. Si tratta di spunti a cui bisogna attingere con parsimonia: trattare Torino “con il contagocce”, poi, può rispecchiare bene la sua natura un po’ schiva, simile a quella di noi che la abitiamo.
Di seguito trovate i link al profilo Spotify e Instagram del Gruppo Trambusti Torinesi, oltre al video ufficiale di Specchio, primo brano del loro EP Turbe Metropolitane.
Title Track
Festeggiamo con Lucio Dalla il mese d’inizio della tanto attesa (almeno, da parte mia) primavera: la sua 4/3/1943 è infatti il brano che ho selezionato questo mese per il nostro appuntamento fisso. Pubblicata nel 1971 e “medaglia di bronzo” al Festival di Sanremo dello stesso anno, è contenuta nell’album Storie di casa mia e nel 45 giri contenente anche Il fiume e la città; il suddetto singolo ha un’interessante copertina, che rappresenta una veduta su Manfredonia: la cittadina pugliese costituì un tassello importante nella costruzione dell’identità artistica e personale di Lucio, il quale vi passò parecchie estati, sopratutto in gioventù. Quello tra il cantautore e Manfredonia fu (e ad oggi è) un legame speciale, basti pensare a Ti racconto Lucio Dalla, libro del 2014 scritto dall’ex sindaco – e amico d’infanzia di Dalla – Angelo Riccardi, o ancora all’intitolazione del teatro comunale al cantautore, così come al suo status di cittadino onorario (riconosciuto nel 1997).
Come detto in apertura, 4/3/1943 fu proposta da Dalla al Festival del ’71, con una ricezione di pubblico e di critica su cui vale la pena spendere due parole: in primis, la componente autobiografica che sembra caratterizzare il brano, unita ad una percepibile virata stilistica per quanto riguarda sonorità, forma e contenuto (rispetto ai pezzi precedenti), contribuirono alla concezione di 4/3/1943 come di uno “spartiacque” nella storia e nella carriera del cantautore bolognese; in secondo luogo, la natura poco “sanremese” del suddetto brano causò non pochi problemi a Dalla, il quale – prima di poterlo effettivamente portare al Festival – dovette apportarvi alcune modifiche, a partire dal titolo (originalmente Gesubambino), fino ad interi versi, tra cui quelli citati:
E anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino
divenuto
E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino
O, ancora:
Giocava alla Madonna con il bimbo da fasciare, “trasformatosi” in Giocava a far la donna con il bimbo da fasciare
Non si è, comunque, universalmente d’accordo in merito alla natura autobiografica di 4/3/1943; c’è infatti chi ci vedrebbe una storia di fantasia e chi le vicende di una ragazza madre, messa incinta da un soldato alleato: Paola Pallottino, paroliere coautrice del testo del brano, ha rilasciato alcune interessanti dichiarazioni in merito per Avvenire, definendo Gesubambino come un “ideale risarcimento a Lucio per essere stato orfano dall’età di 7 anni”. La canzone avrebbe infatti dovuto vertere “sull’assenza del padre, ma poi è diventata una canzone sull’assenza della madre”; “avevo un padre famoso e lui invece, poverino, era un orfanello di papà. Mi sembrava ingiusto e mi misi a scrivere un testo sull’assenza del padre, poi però scrivi e scrivi ed è venuta fuori una canzone sulla madre”, citando ancora le parole di Pallottino in Per i ladri e le puttane sono Gesù bambino: Vita e opere di Lucio Dalla, biografia del cantautore a cura di Luca Beatrice.
Quest’anno Lucio avrebbe compiuto ottant’anni: non un giovincello, certo, ma sta di fatto che la morte del cantautore fu prematura ed inaspettata. Avvenuta a Montreux (Svizzera) il primo marzo 2012 per via di un infarto, la scomparsa costituì un notevole colpo per fan e colleghi; Dalla era infatti salito sul palco del Montreux Jazz Festival giusto la sera prima e su quello dell’Ariston nel febbraio dello stesso anno: qui, fianco a fianco con Pierdavide Carone, aveva cantato Nanì, “scritta a quattro mani” e classificatasi quinta a Sanremo 2012.
Oggi il cantautore è sepolto presso il cimitero della Certosa di Bologna e la sua tomba riporta inciso uno dei versi della sua Cara, contenuta nell’album Dalla:
Buonanotte, anima mia
adesso spengo la luce e così sia.
Eventi in arrivo
“Aprile, dolce dormire”, recita l’adagio; se lo gradite, però, ci saranno diverse ottime occasioni per fare tardi: presso l’Hiroshima Mon Amour sarà infatti possibile assistere al live dei Colla Zio, oggi noti al grande pubblico anche grazie alla partecipazione a Sanremo 2023 che, peraltro, ha fruttato loro il “premio Jannacci” per la migliore interpretazione (3 aprile). Nella stessa location si esibirà NAIP (che sta per “nessun artista in particolare”), concorrente di X-Factor 2020 e fresco fresco di pubblicazione con il suo EP Dovrei dire la mia (6-4). Sempre all’Hiroshima si terranno gli show dei Tropea (13), Alfa (doppia data, 16 e 17), della cantautrice Maria Antonietta (20) e di Drast (27-4), che parte con il suo “primo piccolo tour da solo, per cantare insieme canzoni che ancora non conoscete ed altre che potreste avere già sentito” (citando un suo post su Instagram). Chiudiamo con Lo Stato Sociale e con il loro Tour D’Anteprima Di Un Disco Bellissimo – 28 aprile, SOLD OUT.
Sul palco del Teatro Alfieri suoneranno i FASK (11-4), seguiti poi dal sassofonista americano Steve Coleman, che si esibirà il 25 aprile insieme a Jonathan Finlayson (alla tromba), Sean Rickman (alla batteria) e Rich Brown (al basso). Al Teatro Colosseo, invece, sarà possibile assistere al live dei Modà (2-4), seguiti dai Perpetuum Jazzile (4-4) e da Eugenio Finardi, che il mese venturo porterà il suo Euphonia Suite Tour in città (19 aprile). Il palco del teatro di San Salvario sarà calcato ancora una volta prima della fine del mese, e sarà Niccolò Fabi a farlo (28-4); nello stesso giorno – presso il Teatro Valdocco – troveremo Gigi Finizio, noto esponente della musica napoletana. Tre appuntamenti, invece, presso il Teatro della Concordia di Venaria, che ospiterà Coma Cose, Diodato e Mr Rain (rispettivamente 15, 22 e 26 aprile).
Infine, come il mese scorso, due grandi show al Pala Alpitour: stavolta saranno Max Pezzali e Lazza ad esibirsi presso il palazzetto (rispettivamente 23 e 27 aprile).
Sono due le serate organizzate da Lingotto Musica per il prossimo mese: presso l’Auditorium Giovanni Agnelli sarà possibile ascoltare l’Orchestra da camera di Mantova – che il 5 aprile suonerà musiche di Haydn, Mozart e Sollima – e Alexandra Dovgan, giovanissima pianista classe 2007 – ma già con diversi premi e svariati concerti internazionali alle spalle – che si esibirà sulle note di Beethoven, Brahms e Mozart (18 aprile). Torniamo a parlare di eventi presso il Teatro Vittoria, dove l’associazione De Sono ha organizzato un concerto in data 20 aprile: il Quartetto Werther suonerà il Quartetto op. 60 di Brahms ed il Quartetto in la minore di Al’fred Šnitke e Gustav Malher. Al Teatro Regio, infine, troveremo Il flauto magico di Mozart (31 marzo – 14 aprile) e La sposa dello zar di Korsakov (26 – 28 aprile).
Al prossimo numero!