Golden Hour – MAGGIO 2023, seconda parte
MusiCalendario
Qualche mese fa, quando ho pensato questa particolare sezione della rubrica, mi ero inizialmente prefissato di escludere i compleanni “rilevanti” tra gli avvenimenti del mese; il tutto perché, banalmente, è impossibile non trovare almeno una figura di spicco del mondo della musica nata in questo o in quell’altro mese: mi sarebbe sembrato di fare “figli e figliastri”, come si suol dire. Stavolta, tuttavia, ho pensato di fare un’eccezione: spendiamo quindi due parole su Robert Bob Moog, nato a New York il 23 maggio 1934 e fondatore, testa e cuore della Moog Music, pioniera casa produttrice di sintetizzatori tutt’oggi celebre e punto di riferimento per parecchi musicisti, tanto da essere divenuta una sorta di metonimia per parlare dello strumento in generale. Quest’anno Bob avrebbe compiuto 89 anni (si è spento nel 2005 per via di un cancro al cervello); alcuni lo definiscono – probabilmente a ragione – il padre putativo del sintetizzatore per come lo conosciamo: da una parte è fuori discussione che un’abbondante fetta del lavoro nella creazione, nello sviluppo e nella interiorizzazione/“repertorizzazione” del suono generato-sintetico tout court sia dovuto a Robert Moog e al suo lavoro; è comunque vero che le grandi rivoluzioni si verificano sempre grazie ad un humus più o meno fecondo, a seconda dei vari contributi che hanno concorso alla causa. Nel nostro caso, sono parecchi i potenziali “nonni” del sintetizzatore, alcuni più facilmente riconducibili al risultato finale, altri meno: uno strumento come l’onde martenot – risalente agli anni trenta del secolo scorso – ci appare abbastanza familiare per via della tastiera (in realtà “finta” e utile solo per orientarsi nello spostamento di un anello lungo un filo metallico, che consentiva il controllo in frequenza del suono emesso), mentre risulta più singolare il caso del trautonium, proto-sintetizzatore frutto dell’ingegno del tedesco Friedrich Trautwein. Il suono, le caratteristiche e la peculiare “tastiera” dello strumento – costituita in realtà da una piastra metallica a contatto con un resistore che, alla pressione, permette un’esecuzione più espressiva grazie al possibile controllo di alcuni dei parametri timbrici del suono prodotto – devono aver colpito parecchio i contemporanei: per fare un esempio preclaro, il compositore tedesco Paul Hindemith scrisse molta musica per il neonato strumento. La storia dei sintetizzatori è poi costellata di peculiari episodi come il “fantascientifico” theremin, controllabile senza alcun contatto fisico e caratterizzato dall’inconfondibile suono (celebre l’uso che ne fecero i Beach Boys nella loro Good Vibrations) o, ancora, gli intonarumori, inventati nel 1913 dal futurista Luigi Russolo: strumenti costituiti da scatole lignee che, tramite meccanismi azionati a mano, riproducono svariati suoni in base ai quali vengono poi categorizzati (alla voce corrispondente dell’enciclopedia Treccani sono riportate sei “famiglie”: rombi, tuoni ecc.; 2: fischi, sibili ecc.; 3: bisbigli, mormorii ecc.; 4: stridori, scricchiolii ecc.; 5: percosse su metalli, legni, pelli ecc.; 6: voci di bestie e di uomini): forse uno tra i primi mattoncini alla base della costruzione del concetto di generazione sonora.
Tornando a Robert Moog, alcuni importanti rapporti artistici, lavorativi e/o amicali intrecciati nel corso della sua carriera sono sintomatici della sua rilevanza all’interno della storia della musica, Raymond Scott e Wendy Carlos in primis: quello con il primo (pianista noto, tra le altre cose, per aver scritto molte colonne sonore di diversi cartoon dei Looney Tunes) fu un importante incontro da cui scaturì una feconda collaborazione. Oltre che un musicista, Scott fu infatti anche un prolifico inventore: in mezzo a varie trovate, è suo anche il brevetto di Wall of Sounds, ad oggi riconosciuto come uno tra i primi (se non il primo) sequencer della storia. La seconda, poi, è una celeberrima compositrice del Rhode Island, passata alla storia per il suo pluripremiato Switched-On Bach (1968), album in cui viene proposta una rielaborazione di parte del repertorio del compositore tedesco realizzata esclusivamente tramite sintetizzatori (Moog, ovviamente).
Quanto detto sopra costituisce solo una piccola (anche se rilevante) porzione del peso che i synth hanno avuto nella storia della musica: basti pensare alla portata che il concetto legato alla possibilità di sonorità nuove ed inesplorate deve aver avuto tra i musicisti. Quando arte e tecnologia uniscono le forze, i risultati possono essere straordinari e un genere come il prog rock, per fare un esempio, ne è testimonianza (una delle tante): nella sua “corsa” verso ciò che era nuovo, complesso, psichedelico ed appariscente, il genere trae infatti molto del suo fascino e delle sue caratteristiche proprio dalla nascita e dalla diffusione dei nuovi strumenti musicali elettronici, con un occhio di riguardo per le tastiere; basti pensare a Keith Emerson, che ai tempi degli ELP era solito esibirsi circondato da organi hammond, sintetizzatori modulari e chi più ne ha più ne metta.
Negli ultimi anni poi, tra composizione algoritmica, intelligenze artificiali ed arte machine generated in generale, i punti di tangenza interdisciplinari sono andati moltiplicandosi; parlare quindi di Robert Moog – in un certo senso – vuol dire parlare anche di questo connubio o, quantomeno, considerarne le radici: ciò detto, cosa ci aspetta? Meglio lasciare le previsioni (catastrofiche o ottimistiche che siano) ai mistici. Più semplicemente, la “lezione” è forse quella che il passato può darci, ovvero come non ragionare per compartimenti stagni produca spesso frutti inaspettati: una mentalità elastica ed uno sguardo ampio – come sicuramente furono quelli di un visionario come Bob Moog – sono fondamentali per la costituzione di un occhio critico con il quale guardare verso il futuro, così da poter orientare consapevolmente il “timone”.
DiStagione
Prima di passare in rassegna alcune delle uscite del mese, vale la pena spendere due parole su un paio di news: cominciamo da Post Malone e da If y’all weren’t here, I’d be crying, il tour estivo in Nord America che impegnerà l’artista da inizio luglio fino alla seconda metà di agosto; il cantante si è inoltre pronunciato in merito al suo nuovo album Austin, in uscita il 28 luglio. A detta di Posty, la realizzazione del disco in uscita è stata tra le più impegnative di sempre: Austin è lo specchio di tempi duri e di cambiamenti. Dopotutto il tempo passa per tutti e Post Malone è cresciuto parecchio dai tempi di Congratulations e White Iverson, anagraficamente come artisticamente (è pure diventato papà!). Un assaggio – Mourning, brano estratto da Austin – è già disponibile: attendiamo pazientemente il resto. Copione simile per quanto riguarda i Blur: singolo pubblicato (The Narcissist), disco nuovo annunciato; si chiamerà The Ballad of Darren e consterà di 10 tracce, in uscita il 21 luglio. Spostiamoci infine in Italia per due importanti comeback, entrambi lungamente attesi dai fan, che però probabilmente differivano relativamente alla speranza di veder effettivamente tornare il proprio beniamino: certo, Tedua si è fatto attendere parecchio, ma era nell’aria che – prima o poi – qualcosa sarebbe successo (La Divina Commedia uscirà il 2 giugno); diverso è il caso di Calcutta che, dopo anni di silenzio, ha pubblicato un post (con una descrizione alquanto nonchalant: “Eccoci qua, felice di risentirci”) in cui annuncia otto live previsti per il prossimo dicembre oltre ad un futuro disco, che però uscirà “con calma”, citando l’artista stesso.
Cominciamo dai primi due artisti del paragrafo precedente; Mourning è un brano dal sapore profondamente agrodolce: le sonorità spensierate e upbeat stridono piacevolmente con un testo che, senza troppi filtri, racconta dell’abbrutimento dovuto all’alcolismo e delle difficoltà che ostacolano il percorso di chiunque provi a disintossicarsi. Tra spese folli, falsi amici e tentativi di approccio con l’altro sesso falliti miseramente per via degli eccessi (che hanno effetti deleteri su Posty, come descritto nella seconda strofa), il tutto si condensa nel ritornello, al cui interno troviamo un arguto gioco di parole riferito alla mattina del giorno dopo, oltre ad un interessante riferimento meta-testuale.
The sun is killin’ my buzz, that’s why they call it mourning, “il sole è un guastafeste, ecco perché la chiamano mourning” (MORNING, mattina/MOURNING, letteralmente “lutto, cordoglio”)
(…)
Got a lotta shit to say, couldn’t fit it in the chorus
Passiamo ora a The Narcissist, il pezzo con cui i Blur hanno sancito il loro ritorno dopo un lungo stop; Damon Albarn ci racconta di un processo di autoanalisi, quasi un esame di coscienza volto ad acquisire maggiore consapevolezza di sé e di chi sta attorno al cantante, che in seguito fa riferimento ad alcuni errori fatti nel corso degli anni passati, con l’intenzione e la speranza di non ripeterli. Se si tratti di persone, situazioni o sostanze stupefacenti non è chiaro: ciò che sappiamo è che il tutto era malamente sfociato in una rovinosa dipendenza, “addiction”.
I’ll be shining light in your eyes, you’ll probably shine it back on me
(…)
My heart it quickened, I could not tear myself away
Became addiction, if you see darkness look away
Proseguiamo con alcuni altri singoli: BLK ODYSSY (artista peraltro presente tra le proposte della nostra playlist mensile) ha pubblicato ODEE e YOU GOTTA MAN, primi assaggi dell’album DIAMONDS & FREAKS, in uscita venerdì prossimo (9 giugno). Nuovo disco in cantiere anche per Jorja Smith, che alla fine dell’estate (29 settembre) pubblicherà Falling or Flying, il suo secondo album in studio: l’11 maggio è uscita Little Things, brano divertente, coinvolgente e flirty, perfettamente in linea con le vibe che l’artista ha dichiarato di voler trasmettere con questo pezzo (“When we started creating this song I was just imagining hearing this walking into a party and seeing someone I’d had my eye on. It’s fun!”). Le seguenti sono state piacevoli scoperte fatte di recente, tra playlist e raccomandazioni provenienti da vari fronti: si tratta di Yot Club e quickly, quickly e dei loro rispettivi EP amateur observer (pubblicato il 12 maggio) e Easy Listening (del 26). Entrambi abbastanza brevi e molto piacevoli, con al loro interno alcuni episodi definibili psichedelici (quasi ipnotico l’arpeggiatore di saveurprogress?, traccia 5 di amateur observer), soprattutto per quanto riguarda il secondo EP: Easy Listening, inoltre, aggiunge all’equazione sintetizzatori e sequencer impazziti, sonorità jazzistiche e un po’ lo-fi (si ascolti Colors V2/Music). Se dovessi scegliere un brano per entrambi, consiglierei in particolare l’ascolto di no children e Natural Form.
Diamo ora uno sguardo ad alcuni album usciti nel corso del mese scorso, a partire da Secret Life, l’ultima fatica di Fred again.. e Brian Eno: un disco meditabondo con episodi spiccatamente ambient; gli 11 brani – quasi dei paesaggi con ampi panorami stereo abbondantemente riverberati – si susseguono fondendosi l’uno nell’altro in un continuum praticamente aritmico. Mi astengo dal consigliare uno o due brani in particolare; concedetevi tre quarti d’ora e ascoltate il disco dall’inizio alla fine, sarà un bel viaggio. Tutt’altro che aritmici sono invece KAYTRAMINÉ e WON’T HE DO IT. Gli autori del primo, Kaytranada e Aminè, ormai un duo consolidato, non avrebbero potuto scegliere un periodo migliore per pubblicare un disco del genere: il mood estivo e festaiolo viene infatti “settato” fin dal primo brano, anzi, già dalla copertina; vale sicuramente la pena menzionare i notevoli featuring (in ordine di apparizione, Freddie Gibbs, Pharrell Williams, Big Sean e Jazz Cartier, Amaarae e Snoop Dogg). WON’T HE DO IT (terzo album in studio di Conway the Machine) è un disco squisitamente hip hop, che unisce episodi “trucidi” (in senso non buono, BUONISSIMO) in perfetto “stile Griselda” – il collettivo di Buffalo di cui Conway è cofondatore – come Stab Out a pezzi più chill come Monogram, insieme a spunti di riflessione su fama e successo come WON’T HE DO IT (probabilmente la mia preferita del disco); in una parola, versatilità. Conway ha deciso di mettersi alla prova, come si può intuire anche dal titolo dell’album: “Won’t he do it?” è infatti la domanda che Conway ha detto di essersi auto-rivolto per parecchio tempo, in una sorta di costante sfida contro sé stesso con l’obiettivo di dimostrare a tutti di non avere limiti o confini.
Passiamo all’Italia: novità anche per Willie Peyote, che a poco più di un anno da Pornostalgia torna con Picasso (oltre che con le date del suo prossimo tour NON È (ANCORA) IL MIO GENERE, in partenza a novembre), a detta dell’artista l’accompagnamento perfetto per le “vostre sbronze” e per “quelle sere in cui non uscite per evitare di incontrare quel qualcuno o qualcosa a cui non riuscite mai a dire di no”. Non manca quella punta di brillante e divertente ironia, spesso riscontrabile nei testi e nella personalità del rapper sabaudo: già solo l’incipit vale tutto il pezzo.
Lo sai, la vita a volte è strana, non esco da una settimana
Anche questa sera resto a casa, c’è Cremonese-Salernitana
Chiudiamo con Fulminacci, che “fa doppietta” (già che siamo in tema calcistico) con due singoli pubblicati nel corso della medesima settimana: Simile (23) e Ragù (26 maggio); il primo è una malinconica ballad essenzialmente “piano-centrica” mentre Ragù, più “spigliata”, presenta quel coinvolgente ritmo ricorrente in diversi brani del cantautore romano (caratteristico il respiro affannato a tempo di musica che apre la seconda strofa, tanto per fare un esempio): ho apprezzato particolarmente il tocco retrò che caratterizza il brano (evidente soprattuto nel ritornello) così come il testo, pungente al punto giusto.
Ehi, quanto mi dai? Faccio quello che vuoi
Senza il senso del pudore non mi fermeranno mai
Ma non lo vedi che ho fame? Duemila euro tre storie
Un ragù di cantautore è quello che ci vuole
Golden Hour Gems
Capita spesso e volentieri che vecchie e nuove glorie s’incontrino; le mode vanno e vengono, tornano, s’intrecciano e riflettono su sé stesse, ma at the end of the day (in senso letterale nel nostro specifico caso), la buona musica è sempre buona musica.
Nel mio solito “minestrone musicale”, questo mese Ms. Lauryn Hill (con Ex-Factor, tra le mie preferite del suo iconico album The Miseducation of Lauryn Hill, 1998) e BLK ODYSSY con Bootsy Collins (insieme per Honeysuckle Neckbone, uscita a marzo scorso) si incontrano a metà strada; tra gli altri brani, trovate poi Lava Lamp di Thundercat: a mio parere l’equivalente di una doccia calda per i timpani.
Al prossimo numero!