4 maggio, ricordando la leggenda del Grande Torino: “Solo il fato li vinse”

 4 maggio, ricordando la leggenda del Grande Torino: “Solo il fato li vinse”

Se la sorte ti ha dato in dote di essere innamorato di una squadra come il Torino, allora avrai la ragionevole certezza che quel tuo amore non sarà mai angustiato dalla monotonia. Ma da qualsiasi altra possibile condizione dell’anima, inevitabilmente, sì”. Termina all’incirca così uno dei documentari più belli ed appassionanti mai realizzati sul Grande Torino, raccontato e curato magistralmente da Federico Buffa, lo storyteller sportivo per eccellenza. Sì, perché iniziare il ricordo sugli Invincibili senza citare il giornalista di Sky, è pressoché impossibile, specie nell’era moderna.

La storia della tragedia

E’ il 4 maggio 1949. Torino è avvolta in una straordinaria cappa di maltempo, così come buona parte dell’Italia del nord. Si tratta della classica giornata uggiosa che ancora oggi accompagna i torinesi all’inizio del mese di maggio. Tutta la città si trova al lavoro. Sono gli anni del dopo guerra, d’altronde. Amilcare Rocco, muratore che abita a pochi metri dalla Basilica di Superga, curiosamente si trova a casa, molto probabilmente a causa della pioggia e della nebbia che non permetteva di andare avanti con i lavori all’interno dei cantieri piemontesi. Sono le 17 quando inizia a sentire un rombo, che diventa via via sempre più forte fino a farsi assordante. L’uomo esce subito di casa, proprio come alcuni contadini della zona, usciti per lo stesso motivo. Insieme corrono verso la Basilica e, metro dopo metro, intravedono il profilo di un aereo scomposto, un Fiat G 212, oltre ad una colonna visibile in lontananza di fumo nero.

Sul posto ad attenderli c’era il cappellano don Tancredi Ricca. Si stava aggirando tra i resti di corpi umani, sparsi tra lamiere e focolai di incendio. Capì immediatamente che per quegli uomini non c’era più niente da fare. Nel frattempo, al campo dell’Aeritalia, ci si interroga sul perché non si sente il rumore del G 212, sul perché nessuno risponde più dal velivolo. L’ultimo contatto è avvenuto qualche minuto prima delle 17, quando dal campo volo il radiotelegrafista aveva scandito in morse “visibilità zero”. La risposta del comandante fu abbastanza chiara. “Quota duemila, tagliamo su Superga”. Sono le 16.58. Di lì a poco si comprese il tragico errore. Probabilmente a causa di un guasto della apparecchiature di bordo, il pilota, convinto di viaggiare a quota duemila, stava viaggiando a poco più di duecento. Non stava sorvolando la Basilica, la stava per colpire in pieno.

Sul colle, invece, Amilcare, il cappellano e i contadini continuano a rovistare attorno al velivolo. Come riportato successivamente negli anni, alcuni corpi sono completamente svestiti per l’urto, altri non hanno più il volto. Fu allora che un contadino vide due maglie di colore granata con lo scudetto tricolore. “L’è il gran Turin, l’è il gran Turin”, urla. Sì, è l’aereo che trasportava il grande Torino di ritorno da Lisbona. Non sopravvisse nessuno. Tra giocatori, dirigenti, giornalisti e assistenti di volo i morti furono 31.

L’inizio della leggenda

Da lì nacque la leggenda del Grande Torino. Una squadra capace di dominare il calcio italiano come mai più sarebbe accaduto. Una squadra e una società assurti a modello assoluto e intoccabile, capace di unire il Paese sia nel periodo più buio della sua storia, sia dopo la sua dipartita. L’Italia in quegli anni era reduce da una guerra perduta. Fu lo sport a riportare credibilità: da Bartali a Coppi, passando per la Ferrari e il Grande Torino, per l’appunto.

I granata, guidati da Valentino Mazzola, hanno stabilito record assolutamente irripetibili. Bacigalupo; Ballarin; Maroso; Grezar; Rigamonti; Castigliano; Menti; Loik; Gabetto; Mazzola; Ossola. Alcune formazioni di calcio diventano delle filastrocche popolari, se lasciano un forte segno nella vita dei tifosi. Questo è stato il Grande Torino di Mazzola. Una squadra capace di unire ancora oggi l’Italia intera. Una squadra che ha fatto sognare un popolo intero. Una squadra composta da ragazzi e uomini, che solo il fato li vinse.

I caduti

Nell’incidente persero la vita: i giocatori Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Giulio Schubert e gli allenatori Egri Erbstein, Leslie Levesley, il massaggiatore Ottavio Cortina con i dirigenti Arnaldo Agnisetta, Andrea Bonaiuti ed Ippolito Civalleri. Morirono inoltre tre dei migliori giornalisti sportivi italiani: Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (Gazzetta del Popolo) e Luigi Cavallero (La Stampa) ed i membri dell’equipaggio Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Celeste Biancardi e Antonio Pangrazi.

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Andrea Musacchio