25 Novembre: sempre

 25 Novembre: sempre

Di questa giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne resta indignazione. Per le 86 donne uccise in un anno, per i soprusi e le persecuzioni che si sono banalizzati, per le famose tragedie che si potevano evitare. Questa giornata apre una voragine su quello che è il fenomeno, ormai onnipresente e multiforme. Violenza significa botte, ma anche umiliazioni, rimproveri, gelosie. Quel sentimento di possesso fondante di una società patriarcale che ancora fatica ad eliminare le sue radici.

A dirlo i fatti di cronaca, che diventano numeri. Secondo la Procura di Torino, dal primo gennaio a oggi sono stati aperti ben 1.150 fascicoli per maltrattamenti in famiglia, 420 per stalking, 385 per lesioni, e 414 per violenza sessuale. Sono 42 poi le inchieste per revenge porn. In sostanza, sommando tutti i reati, solo a Torino ogni giorno si registrano sette episodi di violenza di genere. Numeri che non restano mai solo cifre, ma diventano volti e nomi, Francesca, Cristina, Maria, Giulia. Che coinvolgono spesso intere famiglie e apparati sociali, che paralizzano lo sviluppo di una società paritaria, senza differenze di genere. I figli di chi non si può difendere, i figli che non possono difendersi a loro volta. È chiaro a tutti che la sentenza di ieri, che a Torino ha assolto Alex Pompa non è una vittoria, ma una sconfitta nei confronti di una famiglia che è rimasta sola per più di 20 anni di soprusi.

Lavorare su questo significa tre cose: rendere più efficaci gli interventi in ambito penale, rieducare i giovani uomini, e impegnarsi in azioni concrete per aiutare le vittime. Sul primo punto, per evitare reati irreversibili converrebbe far sì che una misura di allontanamento significa davvero rendere più innocuo il pericolo, che una querela abbia valore reale e non solo legale. Ma vuol dire anche lavorare alla base sul pensiero distorto comune a tanti, l’idea del possesso, che fa saltare tutti gli equilibri. E sempre più spesso questo va oltre la semplice violenza. Fanno riflettere i risultati di un sondaggio, La cultura della violenza. Curare le radici della violenza maschile contro le donne, realizzato da WeWorld con Ipsos in occasione del 25 novembre: circa il 70% delle donne lavoratrici dichiara di aver subito una forma di discriminazione sul luogo di lavoro; il 40% di esser stata vittima di una forma di violenza e/o controllo in una relazione sentimentale/familiare e oltre il 50% ha subito catcalling almeno una volta nella vita. C’è alla base qualcosa di sbagliato. Dovrebbe essere studiato e insegnato fin dai primi anni di scuola, a quei futuri uomini che poi avranno un ruolo importante nella società. Nei posti di lavoro, nell’ambito sportivo, culturale, ricreativo. È necessario modificare il paradigma per cui “è colpa sua, ha provocato, mi ha fatto soffrire, deve pagare”. Un’educazione sentimentale che ancora manca.

Per quanto riguarda il sostegno alle vittime, significativi i dati sui fondi dedicati a centri anti-violenza e case rifugio. Secondo l’ultimo dossier di ActionAid, dal titolo emblematico Cronaca di un’occasione mancata, nell’ultimo anno le Regioni hanno erogato alle Case rifugio e ai Centri antiviolenza soltanto il 2% dei 27,5 milioni messi a disposizione nel 2020. Inoltre, dei 3 milioni del Decreto Cura Italia riservati alla causa, meno dell’1% sono stati effettivamente liquidati. Solamente 142 sedi in Italia hanno potuto beneficiare dei 5,5 milioni stanziati per centri antiviolenza e case rifugio. A maggio 2020 si iniziò a parlare di reddito di libertà, a favore delle donne senza figli o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l’autonomia. Il processo di attuazione è stato avviato in queste settimane con 15 mesi di ritardo.

Anche il Comune di Torino e la Regione Piemonte sostengono la causa con molte iniziative di protesta ma anche di proposta per il futuro: dal presidio di Non una di meno Torino di questa sera in Piazza Castello, che anticipa il corteo nazionale di sabato a Roma, al camp artistico all’Off Topic per le ragazze, organizzato dal comitato Torino città per le donne, insieme all’ente no-profit “Lidia dice”. Alle Lavanderie a Vapore si tiene “In my name”, un progetto collettivo istituzionale contro la violenza di genere, co-organizzato da Lavanderia a Vapore, Ass. LiberamenteUnico, Centro Studi Piero Gobetti ed Associazione Dare Voce al Silenzio Onlus. Alcuni eventi si tengono anche al Circolo dei lettori e al Polo del ‘900 di Torino. La facciata del Consiglio regionale di palazzo Lascaris è già illuminata di rosso, adornata con oggetti simbolici, tra cui una panchina che rappresenta il posto occupato da una donna che non c’è più. Questa sera la Mole sarà illuminata dalla frase “Torino dice no alla violenza contro le donne”. Oggi le iniziative a livello locale sono tante, come in tutta Italia. Oggi si alza la voce per una causa che avrà bisogno di essere appoggiata dai cittadini, e soprattutto dalle istituzioni, anche domani.

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Valeria Tuberosi