25 novembre. Giornata mondiale contro la violenza sulle donne
In un anno, tra il 1 agosto 2021 e il 31 luglio 2022, in Italia sono state uccise 125 donne, in media più di una ogni 3 giorni e in aumento rispetto alle 108 dei 12 mesi precedenti. È quanto emerso dal dossier annuale del Viminale presentato ad agosto. Ma la violenza è molto più estesa e sfaccettata. Più del 60 per cento delle donne dichiara di aver subito nella vita una qualche forma di molestia o violenza anche se spesso a queste azioni non segue nessuna denuncia. Dati del 2018 ci dicono che il 79 per cento delle donne ha subito la prima molestia per strada prima dei 17 anni mentre tra gli 11 e i 14 anni sono il 47,7 per cento.
Chi sono invece le donne che trovano il coraggio di chiedere aiuto? Si tratta principalmente di donne italiane (solo il 26% sono straniere) di età compresa tra i 30 e i 49 anni e riportano principalmente violenza psicologica (il 77,9% delle donne), violenza fisica (57,6%), economica, sessuale (16,1%) e stalking (15,6%).
Il fenomeno della violenza sulle donne si inserisce in una dinamica culturale basata ancora su una visione maschilista e sessista della società nella quale le vittime non vengono comprese, ascoltate e credute. E dove il fenomeno della vittimizzazione secondaria, ossia quella dinamica per cui l’attenzione si pone non sull’abusante ma sul comportamento, lo stile di vita, l’aspetto fisico di chi quella violenza o quella molestia l’ha subita e vissuta sulla propria pelle, è ancora molto forte.
Basta leggere i giornali: l’analisi di più di 16mila articoli pubblicati in Italia tra il 2017 e il 2019 mette in luce come i giornali normalizzano la violenza degli uomini contro le donne, raccogliendo le cattive pratiche da evitare nel racconto di stupri e femminicidi. La violenza sulle donne è rappresentata, infatti, come qualcosa che “capita”, non che è “agita” da un uomo. Se si deve cercare un colpevole, è più probabile che lo si individui in lei. Così se lui è spesso un “bravo padre di famiglia”, al limite “troppo innamorato”, “geloso”, “depresso” (tutte attenuanti linguistiche, logiche e processuali) e mai uno stupratore o un femminicida, lei non è quasi mai chiaramente una vittima. Sarà di volta in volta “ubriaca fradicia” quando viene stuprata dall’“amichetto”, presentata come una che “trattava il marito come un cane” perché stava sempre al telefono o al limite si individuerà la “colpa di lei” – perché una colpa lei deve averla per forza – nell’incapacità di sottrarsi in tempo alla violenza.
Le condizioni economico sociali hanno una grande importanza in questo quadro: il tasso delle donne occupate è del 49% in Italia. Le donne senza figli sono maggiormente occupate anche se più degli uomini sono precarie mentre le donne con figli spesso hanno contratti part- time. Le donne hanno meno dimestichezza con la gestione dei propri risparmi, circa il 17% delle donne non ha un conto corrente e non è neppure cointestataria. Un lavoro, una maggiore autonomia economica e la gestione diretta del proprio patrimonio, dallo stipendio alla pensione, sono essenziali per favorire l’autonomia, ed emanciparsi da situazioni di violenza psicologica, fisica ed economica. Ma la cultura tradizionale del lavoro ha anche delle altre conseguenze: penalizza infatti le donne nella dimensione pubblica e gli uomini nella dimensione privata. Cambiare gli orari in cui si prendono decisioni sul lavoro e favorire nuove modalità̀ di organizzazione basate su confronto e condivisione significa dare spazio alle donne nella leadership, ma anche offrire agli uomini la possibilità̀ di affermarsi nella dimensione privata: un maggiore equilibrio nella condivisione degli spazi familiari e della genitorialità giova all’intera comunità̀ e porta a cambiamenti culturali fondamentali.
Per rispondere alle richieste di aiuto delle donne e supportarle nell’uscita da un contesto violento ma soprattutto per cambiare radicalmente il sistema culturale in cui donne e uomini crescono e vivono è necessario lavorare su piani diversi: nell’immediato sostenere la rete dei Centri Antiviolenza e di tutte quelle realtà impegnate nelle attività di prevenzione e accompagnamento delle donne che subiscono violenza; sul lungo periodo è essenziale lavorare sull’educazione al rispetto delle donne coltivandolo fin dalla tenera età̀, fin dalle scuole primarie, con una particolare attenzione ai gesti e agli atteggiamenti quotidiani e al linguaggio che si utilizza in ogni contesto. Creare le condizioni perché́ gli interventi in tema di educazione all’affettività̀ e alla sessualità̀ diventino diffusi e sistematici in tutti gli ordini di scuola. Educare gli uomini e i ragazzi, a scuola, in famiglia e nella società, al rispetto e all’esercizio di una sana mascolinità. Non si deve insegnare alle donne a nascondersi, a vergognarsi o a coprirsi ma a agli uomini a rispettarci e a non considerare le donne come un corpo da apprezzare, sessualizzare e possedere.
In generale l’educazione è lo strumento primario e necessario poiché́ in grado di proporre una alternativa alla cultura che legittima una serie straordinariamente variegata di atti quotidiani di svalutazione, negazione, umiliazione nella maggior parte dei casi neppure riconosciuti come tali, ma che incidono significativamente sulla costruzione dell’identità di giovani e adulte/i, rafforzano ruoli stereotipati, disegnando un mondo irreale in cui il contributo delle donne appare assente o minoritario se non nei ruoli a loro tradizionalmente assegnati.
Non è un giorno soltanto che farà la differenza. Il contrasto a ogni forma di discriminazione, molestia, e violenza è qualcosa che dovrebbe accompagnare tutte e tutti ogni giorno anche nelle piccole azioni quotidiane.